Non è possibile analizzare il nuovo regime dei licenziamenti alla luce della sentenza n. 194/2018 Suprema Corte senza partire dal percorso di innovazioni introdotte con il decreto legisativo n, 23 del 2015, il tanto discusso Jobs Act.
La Corte Costituzionale nella sentenza n. 194 dell’8 Novembre 2018, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (c.d. contratto a “tutele crescenti” del Jobs Act fortemente voluto dal Governo Renzi) nella parte in cui si recita: “di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”.
E’ stato, dunque, reintrodotto all’interno del rito lavoro la discrezionalità del Giudice per quanto concerne la decisione sul quantum dell’indennità per licenziamento illegittimo di cui al sopra citato art. 3, comma 1, ossia il Giudice potrà quantificare l’indennità di licenziamento illegittimo, chiaramente per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, esclusivamente dei “limiti, minimo e massimo, dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, il giudice terrà conto innanzi tutto dell’anzianità di servizio – criterio che è prescritto dall’art. 1, comma 7, lett. c) della legge n. 184 del 2013 e che ispira il disegno riformatore del d.lgs. n.23 del 2015 – nonché degli altri criteri già prima richiamati, desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti).”
La Corte Costituzionale ha eccepito che l’art. 3, co. 1, del D.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, nella parte in cui determina l’indennità in un importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio:
“non realizza un equilibrato componimento degli interessi in gioco: la libertà di organizzazione dell’ impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall’altro”.
In conclusione la suprema Corte ha giudicato necessario ridare al giudicante un ruolo di valutazione, in parte, perso con la riforma del 2015 ritenendo che la previsione di una tutela economica, calcolata sulla base di un principio matematico, potrebbe non costituire adeguato ristoro del danno prodotto dall’illegittimo licenziamento, né tanto meno un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare ingiustamente.
La quantificazione dell’indennità, torna al Magistrato, che nei limiti minimo e massimo individuati dal Jobs Act (come modificati dalla L. 9 agosto 2018, n. 96) che dovrà tenere conto dell’anzianità di servizio, nonché di altri criteri individuabili nel numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti.
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